La Balia sopra la Religione

12 maggio 1713: il Consiglio Generale, temendo violazioni alla sua giurisdizione, ordinò al cancelliere di recarsi dal vicario del vescovo per sapere i motivi di un interrogatorio, ottenuto con l'astuzia e posto sotto giuramento di silenzio, fatto da due ecclesiastici ad una donna romana, Cecilia Teresa Valenti. Vi era inoltre il caso della carcerazione di un certo padre Martini di San Francesco: entrambi gli atti non osservavano le formalità concordate dal vescovo con i pubblici deputati;

30 maggio 1713:

Venne  predisposta con decreto del Consiglio Generale una nuova magistratura, la Balia sopra la Religione. Composta da tre cittadini avrebbe dovuto collaborare con la curia affinché non s'introducessero in città dottrine eterodosse o si compissero atti di oltraggio alla religione, affinché fossero rispettati i decreti della Repubblica e i brevi dei papi riguardanti la materia e sopratutto fosse preservata la pubblica giurisdizione da atti degli ecclesiastici che potessero comprometterla. L'assegnamento di cento scudi e la precedenza prevista per l'elezione dei suoi membri stavano ad indicare la preminenza che si voleva dare a quest'ufficio e alla materia di cui si doveva occupare.

31 maggio 1713: furono eletti i primi tre cittadini deputati alla Balia: Alberto Sergiusti, Ascanio Ciuffarini, Pompeo Micheli;
12 giugno 1713:

si propose al vicario un regolamento, composto di due parti contrapposte: sulla sinistra i modi da praticarsi nel procedere nelle cause di Santa Fede, con paragrafi che andavano dalla lettera A alla lettera L, e sulla destra, in corrispondenza di ogni paragrafo, le ragioni (o meglio, le giustificazioni) della Repubblica, poste a fondamento del prescritto modo di procedere, (erano, per lo più, richiami a testi canonici e a brevi pontifici).

19 ottobre 1713:

giunse da Roma un breve del papa, Clemente XI, con una lettera del cardinale Paolucci, con annesse due copie del breve di Paolo V, del 12 ottobre 1606, una diretta alla Repubblica, l'altra uguale al vescovo del tempo, Guidiccioni.

Il breve esprimeva il risentimento del papa per il decreto del 30 maggio, specie perché il decreto menzionava i brevi di Paolo III, Paolo IV, Pio IV e la lettera di San Carlo Borromeo ma taceva a bella posta il breve di Paolo V, abolitivo dei decreti registrati nel volume dei Decreti Penali e indicati nel decreto del 30 maggio. Il decreto incriminato aveva inoltre, secondo l'opinione del papa, leso la giurisdizione del vescovo e del vicario, che era stato costretto a fare atti contrari al suo ufficio. La Repubblica doveva dunque riparare al pregiudizio inferto al vescovo, che doveva continuare a operare con la sua autorità ordinaria e nei modi che aveva trovato al momento della sua venuta al vescovato;

9 gennaio 1714:

i membri della Balia, con tre cittadini aggiunti, presentarono una relazione sulla risposta da dare al breve pontificio. Raccomandarono di non rimandare oltre la risposta, per non dare a Roma occasione di cattive congetture. Sostennero la necessità di far presente al papa che il Consiglio con il decreto del 30 maggio non aveva mai avuto l'intenzione di derogare alle disposizioni dei sacri canoni, né d'impedire che il vescovo facesse uso della sua autorità ordinaria, ma ribadirono che non c'era alcun dubbio che il breve di Paolo V non fosse mai arrivato a Lucca, insinuando anzi che la corte di Roma avesse tralasciato di inviarlo perchè sarebbe stato causa di ulteriori controversie.

Per quanto riguardava la parte del breve di Clemente XI, dove si auspicava che il vescovo fosse lasciato libero di operare secondo la sua autorità ordinaria e con i modi e mezzi trovati al suo arrivo a Lucca, (riferimento implicito alla deputazione fissa di consultori e ai notai e fiscali ecclesiastici), si ritenne che continuare in questa pratica avrebbe comportato il proseguire con le offese alla pubblica giurisdizione e cioè "la continuazione degli abusi, e male pratiche surrettiziamente introdotte e collusivamente la formazione d'un Tribunale diverso e separato dall'ordinario, che sarebbe l'istesso, che l'haverci l'effettivo Inquisitore, non diversificando l'abito del Giudice, ma la forma e maniera di procedere, cosa estremamente aborrita, e al pari pericolosa e dannosa nella nostra Repubblica e atta a perturbare la tranquillità dello Stato". La Repubblica sembrava avere sempre dinanzi lo spauracchio dell'Inquisizione. A.S.L. Offizio sopra la Religione, Balia straordinaria sopra la Religione, 13 Deliberazioni (anni 1713-1718), cc.104v.-107v.

14 gennaio 1714:

la risposta al breve pontificio, approvata il 10 gennaio, fu finalmente inviata

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