Memoria di Gian Domenico Mansi

La memoria del Mansi, non datata, affronta i problemi che erano all'attenzione del governo nel 1743: il modo di procedere nelle cause di religione, la pubblicazione dei nomi dei testimoni dell'accusa, il rifiuto dell'arcivescovo di procedere come nelle cause ordinarie, comportamento che rischiava di privare la città di un tribunale che giudicasse i rei di eresia e li condannasse.

Rifacendosi ad una decretale di Bonifacio VIII, il Mansi sostiene che l'unico motivo che  potrebbe giustificare un tale modo di agire è il rischio per la sicurezza personale dei testimoni.

Lo studioso trova perciò opportuno il compromesso proposto dall'autorità civile e cioè che si tenga nascosto al reo il nome di colui che l'ha denunziato, ma non dei testimoni dell'accusa, che sarebbero però stati protetti "acciò dalla prepotenza dei rei, non siano angustiati e travagliati".

Il pericolo per i testimoni sarebbe venuto meno: "astretti a testificare dall'autorità del Prencipe ed essendo da esso assistiti, si toglie ad essi, parte dell'odiosità che incontrerebbero se testificassero spontaneamente, e troverebbero nel Prencipe la difesa, con cui sarebbero messi al sicuro contro gli attentati del reo".

Il giudice ecclesiastico, al quale più che al secolare spettava l'obbligo "d'attendere e mantenere la Santa Fede", doveva usare tutti i mezzi per ottenere questo scopo, e perciò, se non accettava l'accomodamento proposto dal giudice civile, o meglio dal governo, era da imputare solo a lui se ne fossero seguiti dei mali, e cioè che seguissero "nella città disordini in materia di S.Fede per mancanza di chi conosca queste cause".

Inoltre il rendere noto al reo i nomi dei testimoni a suo favore, rientrava secondo il futuro arcivescovo di Lucca, in un naturale diritto alla difesa "che neppure il Principe supremo può negare al reo". L'unica eccezione era costituita dal pubblico bene, ma una volta che, essendo assicurata la giusta protezione ai testimoni, veniva meno ogni pericolo, il reo avrebbe dovuto essere informato.

Il vescovo, secondo il Mansi, non poteva neanche appellarsi alla prescrizione, dal momento che nella diocesi di Lucca era sempre stata respinta l'Inquisizione e le sue procedure, e mancava l'acquiescenza del Principe ad un tale modo di procedere.

Infine il padre auspica che anche da parte del governo "obbligato a procurare la quiete, ed il riposo del suo stato", non venisse meno la volontà di giungere ad una composizione, agendo anche a Roma e accettando un compromesso, purché non fosse pregiudizievole ai suoi diritti e ai suoi sudditi

Testo integrale della memoria  B.S.L. Ms. 904, Miscellanea varia lucensia a Bernardino Baroni collecta, 2°, Della Inquisizione e leggi relative con vari altri scritti giurisdizionali, uno dei quali autografo di Gio: Dom. Mansi.

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