Tentativi di introdurre l’Inquisizione a Lucca nel ‘500

1542:

i cardinali dell’Inquisizione trattarono con il vicario del vescovo di Lucca e con il governo l’arresto degli uomini più compromessi con le idee riformate, cioè fra Girolamo da Pluvio, ex vicario degli agostiniani e don Costantino da Carrara, priore dei canonici lateranensi;

1543-44:

i cardinali inquisitori decisero di inviare nella città un loro commissario, progetto respinto dagli Anziani, come anche l' idea di papa Paolo III che nel gennaio 1544 programmò di inviare nella città un suffraganeo, essendo il vescovo residente a Firenze;

6 maggio 1545:

i canonici della cattedrale, con una solenne dichiarazione, auspicarono che fosse affidata a loro la procedura contro gli eretici, vista l’inerzia della curia episcopale;
12 maggio 1545: istituzione dell’Offizio sopra la Religione il cui compito era principalmente inquisire eretici e sospetti tali, evitare la circolazione di libri proibiti in città, e punire chiunque mantenesse rapporti con eretici;
7 settembre 1549: primo scontro tra la città e il tribunale del Sant'Offizio. Questo aveva dato commissione a due domenicani, Giovan Battista Bracciolini, pistoiese, e Paolino Bernardini, lucchese, di inquisire nella città. Il provvedimento venne subito revocato anche per l’intervento del vescovo di Lucca, Bartolomeo Guidiccioni, membro del Sant’Offizio, favorevole all’inquisitore delegato ma non nella persona di un suddito fiorentino, come era appunto il frate pistoiese;

28 settembre 1549:

Il papa chiese con una lettera al cardinale inquisitore Giovan Pietro Carafa, la revoca del mandato inquisitoriale ai due domenicani, motivando la richiesta con la necessità di non sminuire in patria l’autorità del cardinale lucchese, per riguardo al suo onore e alla sua età.
primo ottobre 1549: con una lettera diretta al vicario del vescovo di Lucca, i cardinali del Sant’Offizio, Giovan Pietro Carafa, Marcello Cervini, Juan Alvarez de Toledo, conferirono a questi la carica di commissario dell’Inquisizione, con l’obbligo di trasmettere a Roma gli atti relativi ai processi istruiti. Questa clausola non poteva essere gradita agli Anziani, che inviarono a Roma l’ambasciatore Iacopo Arnolfini per negoziare la totale revoca del mandato, assicurando, nel contempo, la completa collaborazione dell’Offizio sopra la Religione;
20 ottobre 1549: i cardinali del Sant’Offizio, con un nuovo intervento di Paolo III, revocarono definitivamente la carica conferita al vicario del vescovo, motivando la decisione con la "non modicam perturbationem" che poteva cagionare alla città e alla diocesi;
novembre 1550:

 

 

il vicario episcopale, Antonio de Preti da Imola, denunciò a Roma al Sant’Offizio il "malsentire" dei lucchesi in materia religiosa, senza essere sconfessato dal nuovo vescovo, Alessandro Guidiccioni, nipote di Bartolomeo. Grazie all’intervento tempestivo dei diplomatici lucchesi, l’Inquisizione venne tenuta lontana. L'ambasciatore Giovanni Tegrimi fece presente come "la piccola città fosse stata retta dalla mano di Dio miracolosamente in libertà" e quindi come "le cose insolite" avrebbero potuto "con ogni minimo accidente dare grande alteratione e dar causa a chi la cercha per disegnio".Adorni-Braccesi,S., "Una città infetta"La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, pp. 326-329
21 ottobre 1553: il cardinale di San Callisto, Sebastiano Pighini, membro del Sant’Offizio comunicò agli Anziani il turbamento recato a Giulio III dal loro persistente rifiuto del tribunale dell’Inquisizione, cosa che non osava fare alcun altro principe in Italia.
3 dicembre 1553:

 

.

nuove proposte del Sant’Offizio agli Anziani, per tramite dell'ambasciatore lucchese a Roma, Lucchesini. Allo scopo di evitare che essi agissero con troppo "rigore contro i malfattori (...) et oltre perché si cerchi più presto di servarli, che di exstinguerli", il cardinale suggerì loro che "staria bene (...) che le loro Signorie facessero hora un editto che tutti quelli che sino a quel giorno, in qualsivoglia modo havessero tenuto alcuna opinione che fosse reprobata dalla Santa Madre Chiesa circa la religione, se dentro d’un mese fossero andati a confessare il loro peccato davanti del vescovo o vicario o altro deputato da chi ne harà l’autorità etiam secretamente et in occulto conseguisseno l’assolutione et liberatione senza alcuna infamia o altra punitione, pur che sia con l’intentione et animo di non ricadere"A.S.L. Offizio sopra la religione, 11 (anni 1549-1559), Girolamo Lucchesini agli Anziani, Roma, 3 dicembre 1553, cc.n.n
gennaio 1554: il papa notificò ai lucchesi la sua intenzione di nominare un suffraganeo del vescovo come inquisitore, reputando il Guidiccioni troppo giovane e non preparato per la grave materia. Il papa propose un frate domenicano, il Todeschino, friulano. Alle obiezioni dei lucchesi, il Pighini propose senza mezzi termini che s’introducesse a Lucca un’Inquisizione modellata su quella veneziana;
6 gennaio 1554:

 

 

l’ambasciatore Lucchesini, che conduceva le trattative con il cardinale Pighini, propose  agli Anziani una possibile risoluzione della questione: il vescovo di Lucca avrebbe eletto come suo suffraganeo una persona gradita anche a Roma al quale "fosse data di qua questa cura di attendere che per l’avvenire non ricadessero quelli che saranno per l’indulto generale che sarà Sua Santità absoluti del passato o vero che di nuovo non nascesse altro cattivo humore". Inoltre riteneva opportuno accettare il suggerimento del Pighini ed  inviare durante la Quaresima successiva, un predicatore che avrebbe avuto dal papa "potestà et balia amplissima di absolvere et di liberare in utroque foro tutti quelli che andassero da lui etiam in secreto a confessare l’errore loro et promettessero de cetero d’essere cattolici". Nella stessa occasione si sarebbe dovuto consegnare un elenco di tutti coloro che erano a Lucca processati in materia di religione, in maniera che il Sant’Offizio potesse procedere contro di loro, se si fossero dimostrati ostinati nell’errore e non avessero approfittato della possibilità di pentirsi. Il governo della repubblica rifiutò queste proposte, giungendo a processare il Lucchesini per essere "uscito di commissione".A.S.L. Offizio sopra la religione, 11 (anni 1549-1559), Girolamo Lucchesini agli Anziani, Roma, 6 gennaio 1554, cc. n.n.
20 febbraio 1554: la Repubblica ribadì di riporre la più grande fiducia nella capacità del vescovo, al quale restava ogni autorità ordinaria, di procedere contro gli eretici. Si reputò di venire incontro alla richiesta del Sant’Offizio concedendo che il vescovo procedesse con l’assistenza e il consiglio di due frati di conventi lucchesi, che non avrebbero però avuto alcuna autorità straordinaria e che sarebbero stati cambiati di anno in anno. Inoltre si propose che ci fosse anche l’intervento, come assistenti nel caso di processi, dei tre cittadini dell’Offizio sopra la Religione;
13 marzo 1555: nuove disposizioni al vescovo Guidiccioni dai cardinali del Sant'Offizio, "informati per relatione di persone degne di fede" che "nella città e diocesi di Lucca il veneno dell’heresia alquanto anzi assai aveva preso forza". Si accordava al vescovo ancora per tre mesi la facoltà di assolvere "gli eretici, li loro seguaci, difensori, fautori" purché abiurassero i loro errori e denunciassero i loro complici davanti ad un notaio con due testimoni e fossero pronti a sottomettersi ad "una salutifera penitentia". La Repubblica riuscì con l’azione dei suoi diplomatici e premendo sul vescovo, a far sospendere la pubblicazione del documento fino alla morte di Giulio III (22 marzo 1555).
30 agosto 1555: Paolo IV concesse al vescovo di Lucca di udire da solo, per tre mesi, le confessioni delle colpe ereticali, con piena segretezza, forte della sua sola autorità ordinaria. Il governo lucchese accettò di mandare i nomi dei delinquenti a Roma;
marzo 1556: il papa, allo scadere dei tre mesi, con un nuovo breve, chiese la libertà di azione per l’Inquisizione a Lucca e l’aiuto del braccio secolare per procedere contro gli inquisiti. La Repubblica ratificò il breve ma preferì consegnare direttamente quanti venivano citati a Roma dal Sant’Offizio.
1558: le pressioni romane e la necessità di offrire all'estero un quadro migliore della città indussero la Repubblica ad una severa azione contro coloro che erano sospettati di eresia, con condanne alla pena capitale e alla confisca dei beni, in realtà concretizzatesi solo nell’allontanamento di coloro che erano stati notoriamente riconosciuti eretici, con condanne in contumacia ed alcune abiure esemplari in pubblico, di personaggi per lo più di poco conto.
27 ottobre 1558:

 

.

Una riformagione proibì ai "sudditi del magnifico Comune di praticare, commerciare, avere lungo colloquio, in qualunque parte del mondo (...) con i sudditi del magnifico Consiglio chiariti eretici dall’Inquisizione e fatti ribelli al magnifico Consiglio". Adorni-Braccesi S., "Una città infetta". La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento , Firenze 1994, pp.367-370 e pp.377 nota 222

novembre 1561: i cardinali preposti all'Inquisizione ripresero gli Anziani di Lucca, consigliando loro di vigilare attentamente sulle relazioni commerciali dei cittadini, "essendo avvertiti che nelle balle et plichi delle lettere alcune volte mandano a suoi simili, correspondenti loro, li heretici non solamente lettere ma anchora libricciuoli pernitiosissimi pieni di heresie et errori per infettare le povere anime"
23 dicembre 1561:

il protonotario apostolico Vincenzo Dal Portico, scrivendo da Roma al Gonfaloniere di Giustizia lucchese, riferì di un colloquio avuto con il Cardinale Carlo Borromeo, segretario di stato della Santa Sede e nipote di Pio IV, nel quale, a nome del papa, il futuro santo esprimeva la "sua displicenza" per i contatti fra i mercanti lucchesi di Lione e quelli di Ginevra, ed invitava a porvi rimedio. Gli Anziani si affrettarono a scrivere alla "natione" di Lione, affinché non turbasse la quiete della città allontanandosi dalla religione e dalla Chiesa, e al Dal Portico e all'inviato lucchese a Roma, Vincenzo Parensi, affinché rassicurassero il Cardinale Borromeo e il Sant'Offizio, sulla loro volontà di sconfiggere l'eresia.

26 dicembre 1561:

il Parensi riferì come il vescovo di Viterbo avesse fatto a Roma una relazione "diabolichissima" sui lucchesi di Lione, dicendo che "solo tre case ci sono che sono nette da questa maleditione, le altre tutte sono infettissime". Inoltre aveva appreso che il papa avrebbe mandato brevi "comminatori" se da parte lucchese non si fosse provveduto, facendo una "provigione gagliarda".

9 gennaio 1562:

la Repubblica emanò un bando con il quale si intimava agli eretici di non poter andare né abitare, dalla metà del febbraio successivo "in qualsivoglia parte delle infrascritte provincie et luoghi, cioè d'Italia, Spagna, di Francia et suo dominio, di Fiandra et del Brabante: luoghi nei quali la natione nostra suole conversare, habitare et negociare assai", con una taglia di trecento scudi sopra i trasgressori, "per chiunque l'ammasserà".

20 gennaio 1562: breve di Pio IV, "Legimus pia laudabiliaque decreta", agli Anziani, con il quale il pontefice si congratulava con i governanti per lo zelo e la sollecitudine messa nell'opera salutare della Riforma Cattolica, additando i decreti lucchesi contro il morbo dell'eretica pravità, ad esempio per le altre città. Il breve fu impreziosito dalla lettera di accompagnamento del Cardinale Borromeo.
1568: Pio V affermò che "senza l’Inquisizione la città non si sarebbe mai purgata di simil peste [cioè dell’eresia] in quanto le leggi a Lucca erano belle, ma malissimo osservate." Il tribunale romano fu ancora una volta respinto.
1577:

il visitatore apostolico Giovanbattista Castelli, munito di un breve apostolico che gli attribuiva anche il compito di inquisitore, cercò di agire contro gli ultimi nuclei di calvinismo a Lucca. La Repubblica non ratificò mai il breve. I cardinali del Sant’Offizio tentarono di raggiungere il loro obiettivo, proponendo persino in alternativa al tribunale "di fare uso delle parrocchie", in modo da rendere "orecchie dell’Inquisizione parroci e curati". Il governo svolse una nuova azione diplomatica presso la Santa Sede e le corti di Vienna e di Madrid per sventare questi progetti. La Repubblica si fece scudo della sua condizione di libera città imperiale

20 gennaio 1577:

gli Anziani scrissero all'ambasciatore Girolamo Lucchesini a Roma : "E quando il Papa insistesse [ad ingerirsi nelle questioni dello stato di Lucca] ... deve rispondere che sa che le S.S.V.V. riconoscendo dopo Iddio la libertà loro dall'Impero non condiscendono di far cosa contro la dignità pubblica senza farla intendere a Sua Maestà Cesarea per non essere reputati indegni di tale libertà...". Il Sant’Offizio cercò comunque di chiarire l’entità della presenza riformata a Lucca anche tramite l’Inquisizione di Pisa. Davanti a questo tribunale si presentarono infatti Lorenzo dal Fabbro, Giovanni Leonardi e un gruppo di persone, per un totale di diciassette, per ribadire le accuse contro i concittadini già denunziati al visitatore apostolico. Un’intera città venne sospettata d’eresia, in quanto tra i denunciati vi erano patrizi, per una percentuale del 20%, "mezzani", cioè mercanti di scarso livello e professionisti, 25%, artigiani, 36%, e altri membri dei ceti subalterni.Adorni-Braccesi, S., Il dissenso religioso nel contesto urbano lucchese della Controriforma, in Città italiane del '500 tra Riforma e Controriforma, Atti del convegno internazionale di Studi Lucca 13-15 ottobre 1983, Maria Pacini Fazzi, Lucca 1988, p.232 nota 75.

Indietro