Breve storia dell'Inquisizione romana

Il papa Paolo III con la bolla "Licet ab initio" del 12 luglio 1542 istituì la Congregazione cardinalizia del Sant’Offizio dell’Inquisizione, tribunale cardinalizio dotato di poteri senza confini geografici, con compiti di controllo e repressione contro ogni deviazione "eretica", di conservazione della "purità della fede"; cominciò allora la storia dell’Inquisizione romana, così detta per distinguerla da quella spagnola, in contrapposizione alla quale nacque, e da quella medievale, della quale costituì il superamento.

La distinzione della nuova Inquisizione del 1542 da quella spagnola era importante considerato la situazione politico territoriale italiana, dove la presenza massiccia della monarchia spagnola, dalla pace di Cambrai "delle due dame", del 1529, a nord e a sud della penisola, comportò la minaccia ricorrente dell’introduzione di questo tribunale; una minaccia di questo tipo avrebbe potuto produrre nelle maggiori città italiane, Napoli, Milano, violente reazioni, analoghe a quelle violentissime che portarono alla guerra di liberazione dei Paesi Bassi.

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Nel 1478 Ferdinando ed Isabella, sovrani di Spagna, chiesero a Sisto IV il ripristino del tribunale inquisitoriale, ottenendo la facoltà di designare essi stessi gli inquisitori. In Italia fu possibile introdurre l'Inquisizione spagnola solo in Sardegna e in Sicilia. Quando anche il regno di Napoli divenne un possesso spagnolo, si pose il problema se si dovesse estendere anche a quel territorio l'autorità del tribunale dell'Inquisizione spagnola, ma ogni volta che la proposta fu avanzata suscitò tali reazioni negative e minaccia di rivolte da consigliare di evitare questa misura e conservare ai domini italiani le loro forme tradizionali di amministrazione della giustizia. Non era solo la fama di durezza del tribunale a rendere ostili Napoli e Milano, dove si verificarono delle rivolte nel 1510, 1547 e 1563, ma sopratutto la natura del tribunale, il suo essere un potere che ignorava ogni privilegio ed esenzione, che era capace di procedere contro chiunque, anche ai livelli alti delle gerarchie locali, che procedeva rapidamente alla confisca dei beni. Si preferiva che al suo posto ci fosse un'autorità ecclesiastica ordinaria, dipendente da Roma, magari composta da vescovi legati alle famiglie dominanti.

Per quanto riguarda gli elementi di rottura con l'Inquisizione medievale, bisogna sottolineare che nel Cinquecento venne meno un aspetto fondamentale della lotta all'eresia medievale: la necessità che per condannare un eretico fosse emanata la sentenza di un tribunale ecclesiastico. Di fronte all'inefficienza della rete inquisitoriale vescovile, nata nel 1231, lentamente i poteri statali, con svariati argomenti, cercarono di impadronirsi anche di quest'ambito giudiziario: la lotta all'eresia rientrò nella più ampia esigenza per i principati, embrioni dei nascenti stati territoriali, di controllare le coscienze di grosse masse di persone e di reprimere ogni forma di sovversione.

In quest'ottica possono leggersi la legge imperiale emanata nella dieta di Spira del 1529, che prevedeva la pena di morte per gli anabattisti, senza bisogno di processo inquisitoriale preliminare di un giudice ecclesiastico e la "chambre ardente" istituita da Francesco I, con la quale impose che gli eretici fossero giudicati dai Parlamenti, in seguito alla diffusione a Parigi dei placards, manifesti contro la messa.

Dopo vari provvedimenti d'urgenza, con l'invio di commissari speciali con pieni poteri e il compito di percorrere l'Italia per arginare la diffusione delle idee protestanti, con la bolla del 1542, Paolo III conferì poteri straordinari ad un gruppo di sei cardinali inquisitori generali, con autorità apostolica su tutta la "respublica christiana", per procedere contro le "heresie et massime di Modena, Napoli e Lucca", deputando ecclesiastici nei vari luoghi. Alla testa dei membri del collegio, costituiti così "generali e generalissimi inquisitori" furono posti Giovan Pietro Carafa e Juan Alvarez de Toledo, ai quali vennero aggiunti i cardinali Pietro Paolo Parisio, Bartolomeo Guidiccioni, Dioniso Laurerio e Tommaso Badia. Il punto sostanziale del nuovo ordinamento, creato con questa bolla, fu la centralizzazione a Roma, dove avvenivano tutte le nomine, e i pieni poteri di procedere immediatamente e rapidamente in tutti i paesi e contro chiunque, senza essere legati o condizionati dai tribunali ecclesiastici esistenti.

Questa congregazione di cardinali, il cosiddetto Sant’Offizio, ebbe un ruolo di vertice nel governo della Chiesa, dominando la fisionomia del papato del secondo Cinquecento e sminuendo il potere del collegio cardinalizio come corpo.

Da quel momento infatti, prese il via il sistema delle congregazioni e delle commissioni specializzate in diverse mansioni, alle strette dipendenze del papa, che soppiantò il senato cardinalizio, corpo collegiale capace di tenere testa al pontefice. La materia della lotta contro l’eresia e il dissenso scomparve dai dibattiti concistoriali: il Sant’Offizio fu da un lato il supremo controllore della fede, dall’altro, strumento privilegiato del potere accentratore del papato.

Importante fu il rapporto che si venne a stabilire tra Sant’Offizio e stati italiani: la pluralità degli assetti che si costruirono, in merito al diritto di questo tribunale esterno, romano, di citare, processare e condannare sudditi di altri sovrani o cittadini di libere repubbliche e la capacità di evitare l’ingerenza della giurisdizione inquisitoriale romana, non furono legate all’importanza dello stato, alla sua potenza politica e militare.

All’originario progetto unitario papale si sostituì un panorama complesso di realizzazioni locali, risultato delle resistenze e dei patteggiamenti che dilazionarono l’uniformazione dei vari stati alle nuove direttive del centro papale.

Problema degli stati italiani era di avere una circoscrizione inquisitoriale coincidente con il quadro territoriale, coincidenza tra stato e Inquisizione.

Secondo Adriano Prosperi ci fu una maggiore propensione dei regimi repubblicani a tenere fuori dai loro territori o a controllare meglio l’operato di questi tribunale, mentre invece i principati territoriali in formazione erano propensi a cedere su questo terreno in cambio del supporto politico della Chiesa Romana.

(Prosperi Adriano, Per la storia dell'Inquisizione romana, in L'Inquisizione in Italia nell'età moderna, Atti del seminario internazionale di Trieste, 18-20 maggio 1988, pubblicazione per gli Archivi di Stato Ministero dei beni culturali e ambientali, Roma 1991, pp.27-64; Tribunali della coscienza. Inquisitori confessori missionari, Torino 1996)

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