Manuale dell'Inquisizione, Roma 1639

 

Tentativi di introdurre l’Inquisizione a Lucca nel '600

1605:

Alla morte di Alessandro Guidiccioni gli successe un nuovo vescovo con lo stesso nome e della stessa famiglia.

Con il nuovo vescovo la Repubblica ebbe molti dissidi, poiché questi agì, a parere del governo, con pretese contrarie alle consuetudini e ai diritti giurisdizionali del potere civile.

Il governo si volse contro di lui in occasione di una disputa avuta con la Santa Sede in merito al soggiorno in città di alcuni eretici tedeschi, vantaggioso per la manifattura dei drappi di seta. Il negozio non ebbe buon esito e i lucchesi incolparono "i non lodevoli ufficj" del vescovo. Lo accusarono di aver negato che l'Offizio sopra la Religione avesse la competenza di agire contro i trasgressori di leggi che in materia religiosa erano state emanate nel secolo precedente, "leggi e procedure da Pio IV lodate a cielo con breve del 1562, e proposte ad imitazione degli altri governi". Ciò che preoccupava il Senato era la possibile conseguenza di tali discorsi: criticando i sistemi di repressione della Repubblica miravano a dimostrare come il solo legittimo ed efficace rimedio contro l'eresia fosse il Sant'Offizio.

Per questo motivo furono nominati sei cittadini affinché sorvegliassero continuamente il vescovo e si adoperassero per evitare che ottenesse la dignità cardinalizia. I dissidi con il vescovo aumentarono in conseguenza delle relazioni in sfavore della Repubblica pronunciate da questo a Roma. Il governo cercò quindi di ottenerne la rimozione.

Divenuto papa Paolo V, "zelantissimo nel promuovere ed accrescere le ecclesiastiche prerogative", cercò di ottenere il ritorno in patria del Guidiccioni, ma il Senato dichiarò il vescovo essere "nemico della città e sospetto in materia di Stato" e ribadì la sua richiesta di rimozione.

Nel 1605 il papa progettò di stabilire a Lucca il tribunale dell'Inquisizione e sembrarono non farlo desistere le ragioni che contro tale proposito erano state addotte in passato. Ma le leggi che in passato avevano meritato il plauso di papa Pio IV non ebbero da Paolo V altro che biasimo e riprovazione; questi infatti, asserì che dovevano essere annullate le disposizioni concernenti i libri proibiti e la scoperta e la repressione dell'eresia. Il papa sostenne in un suo breve alla Repubblica, datato 12 ottobre 1606, che spettava solo alla Chiesa indicare quali fossero i libri che contenevano massime contrarie alla religione e che non avevano i laici facoltà d'intentare procedimenti o assegnare termini a comparire per difendersi, a coloro che non fossero stati dichiarati rei dalla competente autorità della Chiesa.

Secondo Paolo V, Pio IV aveva voluto lodare solo quei capitoli delle leggi che aggravavano le pene contro coloro che già erano stati condannati come rei di aver professato dottrine ereticali.

Tornando sul tema del Sant'Offizio, il papa non comprendeva come mai una repubblica che si proclamava pia aborrisse un rimedio che si era dimostrato efficacissimo e salutare, considerato che non da molto tempo erano stati costretti a lasciare la città uomini contaminati dalla peste luterana.

Per non aumentare lo sfavore del papa, così maldisposto per le accuse del Guidiccioni, gli Anziani risposero che avrebbero abrogato i decreti riguardanti la religione e che inoltre l'Offizio sopra la Religione, nel caso che avesse verificato qualche violazione, avrebbe subito avvertito l'ordinario affinché provvedesse. La Santa Sede, sufficientemente appagata dai buoni propositi della Repubblica, lasciò cadere il progetto.

1651:

L'inquisitore di Pisa, esibendo una presunta facoltà di inquisire anche a Lucca, pretese di svolgere esami e processi nel monastero rurale di San Cerbone in territorio lucchese. Il governo, che da lungo tempo godeva della prerogativa d'impedire l'esercizio nella diocesi lucchese di atti di giurisdizione ecclesiastica senza la sua approvazione, non poteva certo ammettere un tale sopruso. Inoltre veniva gravemente violata anche la giurisdizione del vescovo che avendone l'autorità ordinaria, era l'unico legittimato ad agire come inquisitore nella città di Lucca.

Poiché l'inquisitore pisano perseverava nel suo proposito, malgrado i reclami del vescovo di Lucca, Pietro Rota, (vescovo dal 1650 al 1657) la Repubblica non potendo tollerare questa violazione dei suoi diritti, inviò a Roma un suo ambasciatore che riuscì ad ottenere dalla Santa Sede l'intimazione, per l'inquisitore di Pisa, a desistere da ogni azione nel territorio lucchese e a "rinunciare al titolo impropriamente usurpato".

1682:

Il vescovo Giulio Spinola (vescovo di Lucca dal 1677 al 1690), costituì una congregazione particolare per l'esame delle cause concernenti la religione, composta da tre ecclesiastici, incaricati di ricevere le denuncie, un fiscale (corrispondente all'odierno pubblico ministero) e ventidue consultori. La novità era costituita dalla presenza dei consultori, perché questa era prevista e necessaria nei collegi giudicanti dell'Inquisizione, ma mai era stata presente in ambito lucchese. Fino ad allora le cause pertinenti al foro ecclesiastico erano state esaminate dal vescovo stesso, coordinato da un notaio ed un cancelliere della corte episcopale.

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